Ho partecipato alla presentazione del libro di Moreno Biagioni “L’altra Firenze”. Non potevo mancare: conosco Moreno da una vita e so del suo impegno politico e sociale e delle sue mai banali considerazioni. Moreno mi ha permesso di leggere il suo lavoro tramite una versione digitale - ormai duro molta fatica a leggere libri a stampa - e così posso oggi avanzare alcune riflessioni che desidero condividere con chi avrà la pazienza di leggermi. Devo dire che condivido due cose di quelle emerse nella presentazione: lo scritto non è un libro di storia; il volume dovrebbe essere promosso tra i giovani per meglio comprendere la città di oggi e le opportunità che potrebbero essere possibili se si raccogliesse almeno una parte delle riflessioni del dopoguerra, a partire in particolare dagli anni sessanta del Novecento. Alcuni di questi momenti non li ho vissuti in prima persona: fino al 1971 ho vissuto a Roma, una realtà in parte diversa, in cui l’esperienza politica era stata segnata dal 1968, dalle lotte studentesche, da Valle Giulia, dagli scontri con i fascisti, ma anche dai movimenti politici di base, dai doposcuola nelle borgate, oggi non più tali, come la Garbatella, Magliana o Centocelle. Ma anche segnata dalla presenza di fermenti post conciliari e soprattutto dalla Comunità di base di San Paolo sotto la guida dell’abate Franzoni. Roma era molto diversa dalla Firenze che ho conosciuto al mio arrivo e di cui ho studiato gli anni Sessanta. Nella capitale contano la presenza ministeriale e l’impiego pubblico. La realtà industriale post bellica si va lentamente affermando, ma il peso del sottoproletariato, anche di immigrazione, è forte anche se, come ricordava Pasolini, a partire dalla seconda parte degli anni Sessanta, si stava consumando una sorta di omologazione attorno all’idea di benessere economico che ne mutava le caratteristiche persino fisiche. Eppure Firenze ha contato nella mia vita non solo per la frequentazione costante dalla nascita – mia madre era fiorentina e a Firenze vivevano gli zii e la nonna - ma soprattutto per alcuni messaggi che da essa arrivavano. La lettura di Don Milani, Lettera a una professoressa e L’obbedienza non è più una virtù, hanno segnato la mia maturazione politica (solo più tardi ho letto Esperienze pastorali, fondamentale per comprendere il Priore) Dico questo perché credo che le esperienze fiorentine narrate da Moreno, abbiano avuto un peso enorme nella formazione del mondo della sinistra oltre i confini di Firenze. Non solo quell’esperienza straordinaria di Barbiana, ma anche i racconti che arrivavano dei preti operai, e soprattutto, le immagini del 1966, quel vero e proprio spartiacque nella vita fiorentina, ma non solo, che fu l’alluvione. Perché le immagini di solidarietà, le migliaia di giovani che da tutto il mondo vennero a Firenze per “salvare” la cultura e che vivevano insieme un’esperienza di solidarietà umana e impegno civile, lasciarono il segno ben oltre le rive dell’Arno. A me preme sottolineare proprio questi due aspetti: Firenze non fu un caso isolato di crescita sociale e culturale, ma anzi fu parte di un processo che si dispiegò in tutto il paese in forme e modi diversi, originali e al quale presero parte migliaia di cittadini italiani di ogni estrazione sociale e culturale che ne modificò gli orientamenti e fu motivo di maturazione politica. Un caso assai originale è rappresentato dall’esperienza associativa che a Firenze, a partire dal dopoguerra, ruota intorno alle Case del Popolo e alle Società di Mutuo Soccorso e che ben fa Moreno a mettere in evidenza. Un fatto che interessava tutta la Toscana, l’Emilia Romagna e altre parti limitate dell’Italia. Non che non esistano realtà associative, ma quasi nessuna con le caratteristiche delle Case del Popolo, luoghi di aggregazione politica, ma anche di svago, di iniziativa culturale, di incontro e discussione al quale faceva da contraltare la Parrocchia, come ben messo in evidenza dal Guareschi di Don Camillo e Beppone. Quello che rimane piuttosto in ombra è il Partito Comunista, ma credo che non possa essere che così: l’altra Firenze è che pone temi e questioni, che si misura con le istituzioni e i partiti, che le restano lontani. E’ questione, a mio avviso, di grande rilevanza perché ha determinato con il passare degli anni, quel “minoritarismo” che ha caratterizzato l’insieme dei movimenti di base. Il mancato incontro con il PCI, responsabilità dei movimenti, ma anche del maggior partito della sinistra, che di volta in volta ha scelto altri interlocutori (ad esempio la DC piuttosto che la Chiesa post conciliare, Monsignor Bettazzi piuttosto che Lercaro) ha avuto effetti negativi su entrambi. Per me che ho svolto la mia attività politica fino al 1991 nel Partito Comunista, questo aspetto era del tutto evidente. Eppure nelle sezioni di partito si cercava di rapportarsi con quanto avveniva sul territorio e nella società civile al di là della cultura politica tradizionale del PCI.. Mi ha colpito la testimonianza di Isanna Generali sul “Ciclostile” e ancor più quella di Laura Grazzini, la cui esperienza è per molti versi simile alla mia. Nelle feste dell’Unità che allora venivano organizzate perfino dalle sezioni si inserivano discussioni su temi che venivano posti dai movimenti di base che venivano chiamati a partecipare e a dire la loro. Nelle Case del Popolo capitava che fossero le sezioni a organizzare e gestire i doposcuola o i corsi per la preparazione dei lavoratori agli esami di terza media. Più complesso e difficile il rapporto con le strutture dirigenti del partito più attente alle istituzioni e al governo che non ai movimenti nel sociale, nella convinzione che fosse sufficiente governare per rispondere alle aspirazioni che provenivano dal basso. Una testimonianza in questo senso viene ricordata nel libro: quella di Katia Franci che da Assessore (oggi Assessora) promosse importanti iniziative su temi posti dai movimenti e fu in qualche modo guardata con sospetto per le sue aperture alla società e, nello stesso tempo, assunta al modello “governare per rispondere alle esigenze di cambiamento”, di fatto uno sminuire il valore della battaglia politica (penso a tutta la discussione sull’autoriduzione). Ma anche altri personaggi ricordati nel libro ebbero un ruolo non indifferente nella costruzione di relazioni tra partito e movimenti, primo fra tutti Benito Incatasciato, ma anche altri come Enrico Menduni, Mario Vezzani, Mario Sbordoni. E mi piace qui ricordare la breve esperienza di Enzo Micheli, esponente del mondo cattolico vicino a Testimonianze, iscritto alla sezione di Coverciano, membro del comitato di sezione, poi chiamato in Federazione, eletto in Consiglio comunale nelle file del PCI. Non fu l’unico che dal mondo cattolico si avvicinò ai comunisti i quali non sempre furono in grado di apprezzarne il valore culturale, morale e politico, ma che invece spesso li marginalizzarono come accadde a Enzo e a tanti cattolici del dissenso. E ancora Luciano Martini, direttore di Testimonianze ai primi anni Settanta. Erano gli anni del compromesso storico, dell’avvicinamento alla DC e, dunque, diminuiva l’attenzione verso quel mondo. Ecco, se dovessi integrare il lavoro di Moreno, partirei da qui: il difficile rapporto tra i partiti della sinistra e i movimenti, da quelli sociali ai fermenti del mondo cattolico fino alle esperienze alternative nella scuola. Ma anche dal rapporto difficile tra il mondo intellettuale fiorentino e il PCI. Non mi riferisco ai personaggi ricordati da Moreno, Balducci e Michelucci o al mondo dell’Università, che fu coinvolto con intellettuali di peso come Ernesto Ragionieri, Cesare Luporini, Eugenio Garin, Aldo Zanardo, ma alle centinaia di insegnanti che furono protagonisti di una stagione importante senza essere sufficientemente valorizzati. Mi viene mi mente Mario Benvenuti, insegnante di Filosofia al Leonardo da Vinci, Assessore alla pubblica istruzione nella prima giunta Gabbugiani, che non ebbe modo di proseguire quella esperienza né di trovare una valorizzazione diversa nel Partito. Forse proprio quelle difficoltà hanno segnato la storia successiva di entrambi: partito e movimenti. Oggi tutto appare più difficile: la nascita del PD ha comportato un mutamento culturale della sinistra e i movimenti si sono radicalizzati accentuando quella separazione tra istituzioni e iniziative di base di cui parlava Ernesto Balducci e che opportunamente Moreno ricorda nel testo. Nella domanda di uno dei cittadini durante il dibattito seguito alla presentazione, “E ora?”, sta uno dei grandi problemi del nostro tempo: la difficile relazione tra istituzioni (e partiti) e istanze popolari. Il populismo è oggi la risposta che sembra purtroppo vincente e su questo punto non si devono interrogare e dare risposte solo i partiti, ma anche tutti coloro che considerano i movimenti un elemento essenziale del processo di trasformazione. Molti anni fa, al tempo della Bolognina, Moreno pubblicò, un ciclostilato di poche pagine, un fumetto che raccontava la storia di una grande nave che veniva abbandonata per lasciare il posto a tante piccole imbarcazioni che avrebbero impegnato, e sconfitto, la flotta nemica. Mi ricordo che scherzando gli dissi che Salamina non si sarebbe ripetuta (oggi aggiungerei che a Lepanto l’occidente vinse grazie alle Galeazze, potenti navi perfezionate dai veneziani e dotate di cannoni su entrambe le fiancate). Forse oggi è il tempo di ricostruire una barca per starci sopra tutti insieme, magari schierandoci con altre grandi barche, se non con la stessa bandiera, con una che le assomigli almeno un po’.