Sono giorni duri per gli insegnanti, per il personale ATA, per le famiglie e, talora inconsapevolmente, anche per i ragazzi. Il Covid si è portato via abitudini, ritmi di vita, frequentazioni e relazioni che nei ragazzi sono fondamentali, anche se spesso in questi anni abbiamo sentito critiche assai forti nei confronti dei comportamenti dei giovani: la generazione del cyberbullismo, si è detto, dei social, delle amicizie virtuali, dell’analfabetismo. In questi giorni manifestazioni in tutta Italia chiedono di far ripartire le scuole a settembre. L’iniziativa Scuola aperta partita da Firenze ha fatto da traino a tante iniziative nel paese con richieste precise: più soldi all’istruzione, più insegnanti, più personale ATA, più aule, niente doppi turni in modo da lavorare in sicurezza. E chi potrebbe opporsi a queste richieste? Nessuno, tant’è che a Firenze in piazza Santissima Annunziata c’erano tutti: da Cristina Giachi, assessore al Comune di Firenze, che ha inventato la gestione da parte di personale privato degli asili nido, alla sinistra di Un’altra città e Toscana a Sinistra, da esponenti della parte moderata e, in altre città, perfino della Lega.

Nella manifestazione a Bologna, Franco Lorenzoni, autore de “I bambini pensano grande” ha detto: “Desideriamo e ci mobilitiamo per migliorarla davvero la scuola, utilizzando i difficili problemi che affrontiamo oggi per la riapertura in sicurezza per immaginare e progettare soluzioni nuove e scuole aperte, con più natura e più città”.

Mi è tornato in mente Don Milani e la scuola di Barbiana che era un luogo aperto al mondo e verso la vita. Uno dei suoi ragazzi diceva: "La scuola è meglio della merda", ma era chiaro che quella scuola era (ed è rimasta) merda. Era la scuola per pierini alla fine degli anni Cinquanta ed è una scuola per pierini oggi. Potremmo dire storia delle riforme mancate e rimangiate: dalla continuità nei primi otto anni (mai però messa realmente in pratica se non in stupende sperimentazioni) e perfino la questione della disabilità oggi più dimenticata che mai. Quello che è mancato alla politica è una riflessione attenta sulla didattica. La scuola è stata massacrata da tagli, da tanta confusione e da tanti ministri: dal 2005 al 2020 abbiamo avuto dieci ministri, dalla improbabile Moratti, passando per la Giannini, dalla Gelmini del tunnel, alla rossa Fedeli per finire con la Azzolina dell'imbuto.

Cosa chiedere oggi ancora più di ieri? Come cambiare strada o meglio mettere in moto fantasia e immaginazione per trovare percorsi nuovi, per far uscire la scuola da una stagnazione che dura da decenni? La scuola frequentata dalla mia generazione non è diversa da quella dei nostri figli e dei nostri nipoti. La classe, il cardine della scuola, è un mondo chiuso; la scuola è un insieme classi e quindi essa stessa un mondo chiuso, di parti che non comunicano tra loro. Il confronto sulla didattica e la programmazione è stato progressivamente sostituito dall’impegno in funzioni burocratico-amministrative, che hanno demotivato tanti insegnanti, peraltro puniti da trattamenti salariali che ci dovrebbero far vergognare davanti all’Europa. Si pensi solo alla creazione degli Istituti comprensivi, fatta con l’intento di risparmiare, con scuole di migliaia di studenti e consigli dei docenti con 150 persone: una sede in cui discutere di programmazione e didattica diventa impossibile. Una situazione che ha avuto come vittime i ragazzi e soprattutto quelli più fragili esattamente come accadeva nella scuola dei pierini. Nei ragazzi fragili vanno inseriti non solo quelli con disabilità, peraltro penalizzati dalle ultime norme sul personale di sostegno, ma anche quelli che vivono nelle periferie delle città o fuori delle grandi aree urbane o nei quartieri con difficoltà come droga, criminalità comune e organizzata. Tutte le differenze di condizione sociale pesano di più se la scuola abbandona i deboli riproponendosi sempre uguale a se stessa, se si chiude invece di aprirsi alla città e al quartiere, se non invade gli spazi. Lo sforzo di tanti insegnanti che aiutano i ragazzi a crescere e istruirsi nella vita e non solo sui libri, a ragionare con gli altri, a confrontarsi per costruire comunità consapevoli è vanificata tutti i giorni da un sistema che non ne riconosce l’impegno e il valore, non solo sul piano economico, ma perfino negando valore a quel modo di lavorare, degradandolo a sperimentazioni irripetibili che non possono diventare sistema diffuso nel paese. Questo vale soprattutto per i più giovani e per quella scuola dell’obbligo nella quale dovrebbe spendersi il meglio delle energie, perché è in quel tempo che si decidono le vocazioni, che si scopre il valore del confronto, che si impara a rispettare gli altri e l’ambiente. Come tradurre l’appello di Lorenzoni secondo il quale “è necessario mettere al centro della rinascita la necessità e il valore della cura reciproca, della ricerca scientifica, dell’arte e della cultura intese nel senso più ampio”? Intanto rispondiamo a una domanda: la scuola di oggi, quella che invitiamo a riaprire a settembre risponde a queste necessità?

L’esempio più eclatante è la vicenda del tempo pieno, la grande innovazione nella scuola dell'obbligo: distrutta in nome del risparmio di spesa e messo in discussione perfino dalle famiglie che volevano per i propri figli più tempo per altre attività contrapposte alla scuola. Il tempo pieno era un’idea di scuola nuova tutta diversa da quella della ministra Azzolina che ripete “I ragazzi potranno tornare a sentire la campanella”. Eppure ci sono sperimentazioni di “didattica in ambienti di apprendimento”, dove le classi diventano laboratori tematici, alcune delle quali vivono anche nelle nostre città. O anche tentativi come quelli dell’Istituto comprensivo Pertini di Palermo che in una delle zone più compromesse della città ha costruito una integrazione con il quartiere e che di recente è stato vittima di un attacco di chiaro stampo mafioso. Il Movimento Cooperazione Educativa da anni svolge un incredibile lavoro sulla formazione degli insegnanti e dei giovani della Facoltà di Scienze della Formazione per orientare verso nuovi modelli di didattica. A Firenze, la città di Calamandrei, Codignola, Don Milani, abbiamo un grande patrimonio di conoscenze sul tema della formazione. Di tutto questo il Sindaco non parla e si inventa la sciocchezza di un giorno di apertura l’ultimo giorno di scuola. Perché non si occupa della scuola da 0 a sei anni, quella che gli compete? Perché non dire che già a partire dai centri estivi si potrebbero fare esperienze didattiche nuove? Perché non pensare a come lavorare con i bambini più grandi del nido e con quelli della materna chiedendo in questo caso suggerimenti e un piccolo impegno ai tanti bravissimi insegnanti che lavorano da sempre nella scuola? Perfino con elementari e medie si potrebbe lavorare da subito e chiedere soldi per compensare gli insegnanti che avessero voglia di provare nuove esperienze di scuola? E invece di chiudere i musei comunali perché non aprirli ai ragazzi organizzati con i loro insegnanti? Anche a settembre si può pensare di fare scuola nelle piazze, nei giardini, nei musei, nei teatri. Abbiamo una grande occasione, riorganizzare la comunità scolastica, dotarla di risorse, materiali, spazi, ma anche e soprattutto di idee che si ispirino ad alcuni valori guida: dall’ambiente al rispetto dell’altro, dalla eguaglianza ai diritti, perché la conoscenza è bella se ha uno scopo nobile.