Papa Fracesco ha esortato nuovamente alla pace dopo che subito “si costruisce a cominciare dal linguaggio”. “Con la lingua -aveva detto il pontefice- possiamo alimentare pregiudizi, alzare barriere, aggredire e perfino distruggere i fratelli: il pettegolezzo ferisce e la calunnia può essere più tagliente di un coltello”.

Marc Bloch, lo storico francese caduto nella lotta al nazismo,  ricordava un antico proverbio tedesco: “Arriva la guerra, arrivano tante bugie”. Più recentemente lo storico italiano Mario Isnenghi ha scritto che “Tutto nell’informazione di guerra congiura ad affidarle interessi e scopi che prescindono dai fatti. La guerra è il momento in cui la verità sulla condizione di subordinazione del campo giornalistico viene rivelata”.

Monica Maggioni tutte le mattine dal 24 febbraio usa parole che drammatizzano una realtà già drammatica che nella forma e nei contenuti disegna un paese (il nostro) che deve essere pronto alla guerra. Il PD ha presentato un’interrogazione su Marc Innaro, corrispondente da Mosca, colpevole di aver raccontato l’espansione della Nato a Est. Alessandro Orsini, docente alla Luiss e studioso apprezzato nel mondo è stato insultato ed emarginato, fino all’epurazione, colpevole di aver espresso opinioni non a favore della Russia, ma a sostegno di una prospettiva di pace. Non tutto è frutto di malafede. Un uomo onesto come Domenico Quirico ha usato frasi gravissime del tono di quelle usate contro Saddam e Gheddafi. Il linguaggio usato può essere usato contro un terrorista non contro un capo di Stato, anche se ha commesso un atto politico grave.  Le immagini nel mondo contemporaneo assumono un rilievo enorme. Quelle drammatiche che vengono dall’Ucraina sembrano non bastare e allora se ne inventano altre, andandole a prendere da vecchi repertori giornalistici, dai social: immagini risalenti a decine di anni fa, scenari di guerra di altri paesi spacciati per ucraini affollano i tg rai e quelli delle altre testate televisive. Le notizie giornalistiche appaiono sempre più raccolte dai social senza alcuna mediazione professionale. Lo scenario drammatico di un paese in guerra, di un aggressore feroce si alimenta, come se ce ne fosse bisogno, di emozioni e di odio verso gli aggressori, trasferisce il legittimo risentimento degli ucraini verso i russi a tutti gli italiani e europei. “Siamo  tutti ucraini” si ripete da più parti, senza rendersi conto che senza una “terza parte” i margini per una soluzione diplomatica della vicenda si riducono drammaticamente.  La decisione di ritirare i corrispondenti da Mosca è politica: di fatto si è deciso di cancellare una voce, quella russa, dall’informazione. Insomma, in continuità col XIX e XX secolo, l’informazione è diventata un’arma di guerra che viene agitata contro ogni volontà di fermare la guerra. Lo stesso movimento per la pace viene usato in maniera strumentale schierandolo con una parte e svuotandone il messaggio di convivenza e di valore della diplomazia.

Massimo Gramellini ha affermato che bisogna abbandonare il relativismo, che non è il  tempo degli storici, ma il  tempo delle decisioni (irrevocabili?). Il discorso di Draghi di ieri è stato esaltato dalla stampa e si muove proprio nella direzione suggerita dal giornalista de “La Stampa”. Al di là dell’ovvio (e giusto)  schierarsi contro l’aggressione russa, abbiamo ascoltato un ragionamento di bassissimo spessore politico e culturale, con  affermazioni sbagliate dal punto di vista storico e conseguenti errori nella valutazione politica. Insomma un  discorso “trumpiano” in quanto a pochezza culturale. Le dichiarazioni di Di Maio, un ministro  degli esteri che passerà alla storia per la sua incapacità e pochezza culturale, ci trasformano in un nemico che non può avere alcuna voce in capitolo in una trattativa diplomatica.

La storia degli ultimi trent’anni ci racconta qualcosa di diverso da quello che ha affermato Draghi. La caduta del muro di Berlino è stata il prodotto del tentativo di riforma dell’Unione Sovietica (e del comunismo come lo abbiamo conosciuto) da parte di Gorbaciov. Allora l’occidente scelse Eltsin e favorì la disgregazione dell’Urss che comportò la nascita di nazionalismi in tutto l’ex impero sovietico. Un nazionalismo aggravato dall’esistenza di popoli che mal si sopportavano già nell’URSS. Quasi contemporaneamente la fine della Federazione jugoslava determinava lo scatenarsi di una guerra durata 10 anni nei paesi balcanici a due passi dall’Europa. Draghi ha dimenticato quella crisi, ha parlato di “illusione di una pace ormai raggiunta” come se le bombe su Belgrado fossero un gioco. La guerra dei balcani fu guerra europea, non solo perché quei territori sono parte dell’Europa, ma per i paesi coinvolti oltre quello scenario bellico. Dimenticare i bombardamenti su Belgrado, le stragi di civili, i profughi del Kosovo, il dramma delle popolazioni è un fatto grave e mostra la strumentalità e superficialità del ragionamento del Presidente del Consiglio. La globalizzazione ha fatto crescere le crisi tra stati e negli stati. Il bisogno di materie prime è cresciuto insieme alle aspirazioni di alcuni a detenerne il possesso. Nel mondo ci sono altre guerre che sono durate anni e che ancora proseguono senza che se ne parli. Iraq, Siria, Libia, Yemen, Repubblica del Congo, Mali, Kashmir, Palestina, Somalia, Tigrè, Turchia e Kurdistan solo per citarne alcune. La diplomazia è in forte crisi, gli organismi internazionali hanno perso buona parte delle loro capacità; l’Onu è  un organismo tarato sul mondo  post bellico del XX secolo;  la NATO non ha saputo rinnovarsi ed è rimasta legata alla logica della espansione verso est, alimentando i sospetti della Russia su un possibile progetto egemonico. Anche l’UE ha accelerato l’espansione a est, senza nessuna attenzione ai temi dei diritti e delle libertà. In questo contesto l’industria degli armamenti ha assunto un peso sempre maggiore e ha aumentato i suoi introiti a dismisura. La cultura della pace ne è uscita quasi annientata e ormai non resta che nelle parole di un Papa che ne ha fatto oggetto di più di una riflessione.

Insomma, la logica militare ha vinto su quella politica tanto che l’ingresso nell’UE e ingresso nella NATO sono andate di pari passo in una logica di contrapposizione da guerra fredda che ha caratterizzato e caratterizza il rapporto degli USA con la Russia e la Cina. L’atavica paura della Russia, che ha subito invasioni da centinaia di anni e che anch’essa ha rapidamente abbandonato il superamento della guerra fredda di cui si era fatto portatore Gorbaciov, non è stata minimamente considerata dall’Occidente. L’Europa non è riuscita ad avere un’autonomia politica, una diplomazia propria, una strategia di lungo respiro ed è rimasta come paralizzata in politica estera. L’atlantismo è diventato subalternità. L’appiattimento di questi giorni sulle parole di Stoltenberg, criticato persino da generali italiani, è sotto gli occhi di  tutti.

Il linguaggio di Draghi di ieri, quello dei media che lo hanno esaltato, quello dei partiti che sono ormai scatole prive di valori e ideali, sono facce della stessa medaglia: la cultura della pace è  diventata una decorazione da mettere sulla divisa da guerra, una sorta di spilletta da attaccare sul soprabito mentre si firma una dichiarazione di guerra o si mandano armi ad una delle parti. Il difficile rapporto tra storia e politica è diventato un problema. Senza storia non si fa buona politica e soprattutto non si fa la politica estera. Se si perde la memoria non si ricompongono le tensioni e si entra in una spirale tensione-guerra-tensione-guerra.... Se ogni soluzione che si individua viene trascurata e lasciare a marcire, la guerra si ripresenterà con tutta la sua crudezza anche dopo un accordo di pace..

Dimenticare cosa è  successo in Ucraina dal 2001, quanto  successo in Georgia nel 2008, la questione Crimea, la vicenda della Transnistria al confine moldavo e la crisi del 2014,  il fallimento degli  accordi di Minsk sono errori gravi, non perché servano al relativismo di cui parla Gramellini, ma perché senza storia non si costruisce nessuna prosettiva di pace per il  futuro, non si imapara dagli errori.

Dal 2014, accordi di Minsk, questa mancanza di cultura della pace e di coscienza storica ha creato le premesse per quello che sta succedendo in questi giorni, ha spinto  i contendenti ad una contrapposizione in cui il più forte ha lanciato l’aggressione.