Il risultato elettorale segna una sconfitta per tutto lo schieramento progressista. Il risultato mostra un arretramento significativo rispetto alle ultime elezioni del 2018 e del 2019. Sia il Partito democratico che il Movimento 5 stelle (volendo collocarlo in questo schieramento) perdono voti. L’astensionismo dell’11% sembra penalizzare soprattutto lo schieramento progressista considerando che il centro destra nel suo complesso mantiene i voti del 2018. Dato interessante dalle prime analisi è che la mobilità elettorale nel centro destra è altissima: secondo le prime analisi il partito della Meloni ha cannibalizzato la Lega e Forza Italia e a questo deve il suo successo. Qui però non interessa trattare una analisi del voto che altri faranno con maggiore competenza (Sono già disponibili le analisi di IXE, Cise, Istituto Cattaneo e Wired)..

Il tema che mi sembra fondamentale affrontare subito è il cambiamento indispensabile nella maggiore forza politica dell’area progressista: il PD. Nel suo primo intervento Letta ha annunciato che si svolgerà il congresso in tempi brevi (gennaio) e che non si ricandiderà alla Segreteria. Già abbiamo ascoltato alcuni commenti di esponenti del PD. Letta ha parlato della necessità di definire una identità nuova e forte del Partito, temi ripresi da tutti gli interventi da Orlando a Ricci, da Bettini a Bonaccini. Credo che tutti i progressisti debbano essere interessati a questo momento di vita del PD perché senza un forte partito progressista, capace di alleanze non sarà possibile avviare una nuova stagione politica.

Definire una identità politica significa esplicitare non tanto un programma di governo, quanto piuttosto scegliere la cultura politica alla quale si vuole fare riferimento. L’adesione allo schieramento Socialista in Europa dovrebbe portare il PD a abbandonare l’idea di partito democratico e liberale sul modello americano e a muoversi in una linea socialdemocratica, più vicina al modello tedesco o a quello di Sanchez in Spagna e soprattutto a smettere di avere porte girevoli con gente che entra e esce a seconda delle convenienze.

Nadia Urbinati ha individuato in Renzi il principale responsabile della catastrofe odierna ed ha definito il PD un “partito sbagliato” o meglio un non partito. Basta leggere lo Statuto. Senza una ricostruzione o meglio la costruzione del partito non si uscirà da questa situazione e l’intera area progressista ne uscirò sconfitta. Ricostruire il partito cosa vuol dire? Vuol dire ripartire dai sindaci? Mantenere gli equilibri tra le correnti e garantire l’unità? Scegliere un giovane segretario o una donna? Il tema vero è che il PD, come ho detto, deve chiarire cosa vuole essere, qual è la sua missione, quali i suoi valori. Ha scritto oggi (29 settembre) Fabrizio Barca sulla Stampa: “Riempire di visione, proposte, dialogo sociale e "sperimentalismo democratico" il vuoto di politica e democrazia. Questa è, allora, la strada da prendere. Esiste una domanda forte – abbiamo scritto ancora noi del ForumDD – "di un «partito di giustizia sociale e ambientale» che non c'è, che sia permeabile al fermento sociale del paese, capace non solo di ascoltare i soggetti dell'impegno civico, sociale e imprenditoriale, ma di proporre loro luoghi democratici di condivisione di potere su visioni, contenuti e leadership, e, ancora, capace e coraggioso abbastanza da portare proposte radicali di cambiamento ai tavoli negoziali dell'Europa e internazionali"

 

Quello che dovrebbe essere chiaro è che la mancanza di identità del PD ha finito per schiacciarlo sul governo del momento nella pura logica del “buon governo” (o supposto tale).  Come ha sintetizzato Massimiliano Smeriglio sul Manifesto: “Non abbiamo perso perché il governo Draghi è caduto, ma esattamente per il suo contrario, per la natura di quel governo, e per la percezione di distanza avvertita da milioni di persone provate dalla pandemia, dalla guerra e dalla crisi economica. Un governo di emergenza e unità nazionale trasformato in opzione politica, l’agenda Draghi”. Si afferma che il movimento 5 stelle ha governato con più soggetti, ma per onestà si dovrebbe ammettere che il PD ha fatto lo stesso. Questo accade perché manca una identità politica forte, quella che al contrario sembra (ed è tutto da verificare) abbia trovato il partito di Conte. Temi come il reddito di cittadinanza o il bonus edilizio sarebbero dovuto diventare occasioni di un confronto, invece che motivo di scontro. Ma si torna lì: senza chiarezza su chi si intende tutelare , su cosa si vuole sostenere, non si va da nessuna parte.

E allora? Nadia Urbinati ha scritto “Manca un partito”. Ha ricordato come tante voci si fossero alzate per chiedere di "cambiate lo statuto", ma nessun ha ascoltato: ha prevalso la logica che proprio grazie a quello Statuto si poteva essere lì. Se il PD vuole rifondarsi deve partire proprio da una nuova cassetta degli attrezzi che comprenda in primo luogo gli iscritti, i circoli, la loro funzione essenziale nel percorso congressuale. da mozioni da votare nei congressi e da un congresso nazionale composto da delegati eletti ai vari livelli sulla base delle mozioni approvate. Insomma le regole dei partiti che abbiamo conosciuto e che funzionavano e soprattutto vedevano un ruolo degli iscritti. In questo contesto far sparire le primarie sarebbe fondamentale anche perché si sono dimostrate  uno strumento sbagliato e a rischio di distorsioni. E’ il Congresso nazionale, con i suoi delegati, che deve eleggere il segretario. L’alterntiva è la Costituente proposta da Bersani per la nascita di un nuovo soggetto politico e che oggi Letta ha indicato come prospettiva

Il PD non è il mio partito. E allora perché te ne occupi, mi chiederà qualcuno? L’ho detto all’inizio: senza un partito progressista in grado di costruire insieme ad altri uno schieramento di sinistra non sarà possibile garantire le persone più fragili, superare le disuguaglianze e confermare i diritti. Partire dal PD vuol dire obbligare i possibili alleati a chiarire meglio le proprie posizioni e la propria collocazione.