(Massimo Misiti)

Nei campi di sterminio i primi a cadere erano gli anziani. I pochi che non venivano inviati subito alle camere a gas morivano dopo poco di stenti o di fatica. Intere generazioni di ebrei non hanno avuto la possibilità di ascoltare la saggezza dei nonni e l’opportunità di accompagnarli nell’ultimo viaggio.

C’è qualcosa di analogo e macabro in quello che è accaduto nelle RSA di tanta parte dell’Italia. La responsabilità, voglio dirlo subito, non sta nel personale delle case di riposo. Se pensiamo a quello che è successo negli ospedali del Veneto e della Lombardia all’inizio della epidemia, quando medici e infermieri sono diventati vittime e colpevoli inconsapevoli della diffusione del virus, non possiamo immaginare che il personale delle RSA, dove di solito gli infermieri si contano sulla punta delle dita di una mano, possa essere responsabile di quanto è successo.

La responsabilità sta in chi per anni ha ridotto la spesa in sanità, ha sminuito il ruolo dei medici di base, ha smantellato i servizi sanitari territoriali, ha mandato in pensione anticipata medici e infermieri senza preoccuparsi di sostituirli, ha trasformato la laurea in medicina in un percorso di guerra. Ecco: vivere nel XXI secolo e vedere una strage di anziani fa male. Ma forse, come ho sempre pensato, fa male perché sono parte del nostro mondo occidentale e ricco. La speranza di vita in Congo è di 58 anni, in Uganda 56, in Mozambico 54, nella Repubblica Centrafricana 53. In Europa siamo tra gli 80 e gli 83 anni. Ci sono parti del mondo dove si muore all’età in cui nei paesi ricchi si raggiunge la maturità. La strage di bambini in Congo (oltre 5.000 in un anno) non fa notizia, ma l‘ebola sì perché la temiamo e per quella non abbiamo gli strumenti. Forse se pensassimo agli ultimi del mondo saremmo in grado di pensare anche ai nostri anziani, ai disabili, alle persone con difficoltà insomma agli ultimi che pure nel mondo occidentale e ricco ci sono e anzi sono aumentati. E lo dovremmo fare proprio dalla sanità, restituendo al nostro sistema sanitario universalistico quella dignità e quel valore che ci veniva riconosciuto a livello mondiale. E soprattutto capire che la vita è importante anche se non si è funzionali alla produzione.